Uno spazio in città per la Pescara di Pasolini

Uno spazio in città per la Pescara di Pasolini: il Consiglio comunale vota un odg per individuare l’area su cui apporre le parole di contenute nel reportage “La lunga strada di sabbia”.

Nell’estate del 1959 Pier Paolo Pasolini se ne andò in giro per l’Italia, lungo i luoghi di quella “lunga strada di sabbia” che va dall’Adriatico al Tirreno. Lidi, paesi, città, stabilimenti balneari, periferie: lo scrittore vide e annotò immagini e riflessioni poi pubblicate sotto forma di reportage sulla rivista “Successo”, diretta da Arturo Tofanelli. Nell’Italia del post-dopoguerra, al volante di una millecento, Pasolini percorre anche la costa d’Abruzzo, cogliendo l’essenza della nostra gente e rappresentandola con una morbidezza, ben diversa da quella -apparentemente – cruda descrizione del “paese dei banditi”, ovvero la Calabria. In realtà la sua non era una considerazione di ordine pubblico, ma una critica sociale, come poui apparve chiaro dalle parole pubblicate su “Paese sera”: “Ora vorrei sapere che cos’altro è questa povera gente se non “bandita” dalla società italiana, che è dalla parte del barone e dei servi politici? E appunto per questo che non si può non amarla, non essere tutti dalla sua parte, non avversare con tutta la forza del cuore e della ragione chi vuole perpetuare questo stato di cose, ignorandole, mettendole a tacere, mistificandole”. Non ci fu bisogno di replica invece per l’Abruzzo, e in particolare per le due località emerse tutto sommato in modo lusinghiero dal suo viaggio in Italia: Pescara e Francavilla al mare. Nei giorni in cui si vive il quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini, il Consiglio comunale di Pescara ha approvato un ordine del giorno (illustrato da Piero Giampietro (Pd) e sottoscritto dalla maggioranza) che invita sindaco e giunta ad individuare un’area del lungomare su cui apporre una targa che riporti la trascrizione di un brano dell’articolo che ripubblichiamo qui di seguito:

“Che cos’è che segna il passaggio dal Sud al Nord? Sì, c’è una lunga sfumatura intermedia, gli alti Abruzzi e le Marche: eppure certi mutamenti sono repentini. Compaiono ad un tratto le biciclette, le insegne del metano, ma soprattutto compaiono le belle donne. Non voglio insinuare che nel Sud non ci siano belle donne: io, comunque, in centinaia e centinaia di chilometri di litorale non ne ho viste. Ho visto delle femminucce nere ed ineleganti, delle adolescenti gelatinose. Improvvisamente, ecco le belle donne, già a Pescara, e a San Benedetto, a Falconara, a Senigallia… Pescara è splendida. Credo sia l’unico caso di città, di vera e propria città, che esista totalmente in quanto città balneare. I pescaresi ne sono fieri. Giungo all’ora del tramonto, della grande, frenetica passeggiata prima di cena. Chiedo a un uomo anziano dov’è un albergo. Lui si fa in quattro, vuol salire sulla macchina, col figlio, per accompagnarmi. Mi dice subito: “Eh anche lei come tutti, vedrà! Quando uno viene una volta sulla spiaggia di Pescara, ci ritorna! Ecco, vede, adesso va fino in fondo a questa strada. Prima della rotonda c’è un’aiuola, dove è segnata con fiori la data di oggi”. E’ commosso, di fronte a tanta grazia, a tanto lusso. Sì, infatti, ecco lì dei fiori rossi e viola a segnare la data di oggi, uno dei grandi giorni dell’estate, della città… Il lungomare è un fiume di gente, elegante, bella, abbronzata, massiccia”.

E su Francavilla:

“A Francavilla cominciano le grandi spiagge adriatiche, una nuova civiltà balneare. Come sempre esiste un modello, una forma prima, un archetipo che si riproduce in mille varianti, restando sempre identico. Suppongo che tale forma principe siano Rimini o Riccione… La notte di Francavilla ha tutti gli aspetti delle notti balneari che sappiamo: ma accostata, approfondita, rivela questo doppio fondo. Sul lungomare notturno, ancora modesto, c’è un trattenimento danzante, con un Bongiorno locale che, con distacco e facilità di parola che gli permettono di essere quasi offensivo, organizza al microfono non so che giuoco o che gara. Intorno al locale all’aperto si stringono gli indigeni, in piedi, a gruppi pittoreschi, quasi tutti maschi. Le donne sono quelle piccole borghesi, che presto rincasano. Si vedono poi nella penombra solo blue-jeans, magliette, teste tosate col rasoio. Il dialetto è aspro, massiccio. Dopo l’una restano, nella balera, solo i ricchi, i parlanti in lingua. Oziano fin tardi, poi salgono nelle automobili, col fiacco spirito del borghese quando fa il viveur…”.