Processioni venerdì Santo: Chieti e altre 5 stasera su Rete8

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E’ il giorno della Via Crucis, rievocazioni in tutto l’Abruzzo. Stasera su Rete8 la trasmissione della processione del Venerdì Santo di Chieti, preceduta dai riti della Passione a Lanciano, Teramo, L’Aquila, Pescara e Sulmona. Lo speciale “Venerdì Santo in Abruzzo” andrà in onda alle ore 21. La processione di Chieti sarà trasmessa anche in diretta sul canale 112 Rete8news24 e sul canale di YouTube Rete8tube.

QUI LE INFORMAZIONI SULLA VIABILITA’ A CHIETI

La processione del Venerdi’ Santo o del Cristo morto a Chieti e’ la piu’ antica d’Italia. Risalirebbe, infatti, all’842 d.C. La sua conformazione attuale risale pero’ solo al XVI secolo, quando nacque l’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti che ancora oggi ne cura l’allestimento e la preparazione. Tra il ‘700 e ‘800 avvennero importanti modifiche riguardanti l’introduzione del coro, dei simboli della Passione e della statua dell’Addolorata, oltre all’eliminazione dal corteo della Morte. La tradizione vuole che la processione di Chieti si debba sempre svolgere anche in condizioni atmosferiche pessime e qualsiasi cosa succeda. La processione ha inizio verso le 19, dalla cattedrale di San Giustino. Lungo gran parte del percorso sono presenti i tripodi accesi con fuoco di cera. Intanto, in cattedrale, alla fine della sacra funzione, sulla scalinata del presbiterio si esibisce il coro per tenori primi, tenori secondi e bassi e composto da oltre 160 elementi che, seguendo la processione, intona il Miserere, composto verso il 1740 da Saverio Selecchy. L’orchestra e’ composta da violini, viole, violoncelli, flauti traversi, clarinetti, fagotti e, ultimamente, sassofoni. La processione viene aperta dallo stendardo a lutto dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti. Escono quindi le varie confraternite cittadine, ognuna con il proprio stendardo e crocifisso, alcune con propri simboli, tutte con le lanterne (dette fanali), con i confratelli nella mozzetta tradizionale di ciascuna congrega. I membri effettivi dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti, vestiti con una tunica nera, mozzetta gialla e cappuccio nero, circondano le statue del Cristo morto e della Madonna addolorata: solo a loro spetta anche il compito di trasportare questi sacri simboli, secondo una tradizione di successione salica. Nel corso della trasmissione di Rete8 di questa sera il poeta Raffaele Fraticelli declamerà i versi della sua celeberrima poesia dedicata al Venerdì Santo: Qui un estratto:

E la Madonne nghe lu mante nere,
passè. Li viuline e li Canture
cantéve n’àtra vote… Miserere!…
“Mammà, quande so’ grosse cante jé pure!…”
Chì sa pe’ quanta tempe, quant’ancóre,
‘stu jorne vè ‘pparlà’ dentr’a lu core!

(E la Madonna con il manto nero,
passò. I violini e i cantori
cantarono un’altra volta… Miserere!…
“Mamma, quando sarò grande canterò pure io!…”
Chissà per quanto tempo, quanto ancora,
questo giorno verrà a parlare dentro al cuore”)

Molto sentita la solennita’ che si celebra a L’Aquila. Dalla Basilica di San Bernardino tra i palazzi vuoti e puntellati della citta’. Questo il percorso della processione del Cristo Morto. Accompagnano il corteo con il simulacri del maestro Remo Brindisi il coro e l’orchestra del Venerdi’ santo, formato dai cantori di tutti i gruppi e associazioni corali cittadine. Nel 1954, grazie al devoto interessamento dei frati Minori del Convento di San Bernardino, la processione del Venerdi’ Santo e’ stata ripristinata. Merito particolare va al giovane francescano Fra Salvatore Roccioletti. A curare la processione e darle grande lustro e’ stato poi, a partire dal 1963, Padre Casimiro Centi. La processione del Venerdi Santo a L’Aquila ha una peculiarita’ che la rende forse unica, cioe’ quella di essere legata, sin dal 1954, ai nomi del grande artista aquilano d’adozione Remo Brindisi, morto nel 1996 e del padre Fedele Brindisi. Loro sono infatti 16 dei 20 simulacri portati in processione. Per l’edizione di quest’anno a scortare il Cristo Morto sara’ il gruppo aquilano di azione civica “Jemo ‘nnanzi”. I simulacri che sfileranno nella sera di domani – anche qui sotto le struggenti note del Miserere – sono opere riconosciute capolavori di arte sacra contemporanea, e sfilano in uno scenario dal sapore antico, tra i palazzi storici della citta’, alla fioca e suggestiva luce delle torce, proprio come cinquecento anni fa, torce che rischiarano il percorso dei simulacri scolpendo nella notte la tragica discesa dal Golgota. Scriveva negli anni cinquanta l’allora soprintendente alle Belle Arti Raffaele Delogu, a proposto dei simulacri di Remo Brindisi: “Come le civilta’ artisticamente mature non hanno mai temuto di riplasmare nel loro spirito e di rinnovare entro le loro particolari forme temi ed immagini della loro tradizione, cosi’ nei momenti di maggiore pienezza del sentimento religioso, mai si ebbe timore di affidare l’espressione alle voci piu’ contemporanee e per cio’ stesso, piu’ qualificate ad esprimerlo che questo compito sia stato affidato ad un aquilano quale Remo Brindisi, che ha saputo gettare un ideale ponte tra le tradizioni della sua terra ed il sentimento del nostro tempo, e’ garanzia di aderenza e per L’Aquila, segno significativo di continuita’ storica e sicura vitalita’”. Dal 2000 si e’ costituita l’Associazione Cavalieri del Venerdi’ Santo, formata da laici e religiosi, allo scopo di dare continuita’ all’annuale evento e di rendere la processione un supporto significativo alla religiosita’ degli aquilani e dei turisti, che la seguono con la stessa fedele e composta partecipazione del passato.

A Sulmona tra le processioni del Venerdì Santo, quella serale è sicuramente la più suggestiva e la più grande che richiama un gran numero di turisti e di fedeli e a cui tutti i sulmonesi sono profondamente legati; si snoda per tutte le vie del centro storico. È organizzata dai confratelli della SS. Trinità, perciò è nota anche come Processione dei Trinitari. Il passo caratteristico dei portari è quello lento e dondolante del cosiddetto “struscio”. La processione ha inizio dalla piccola e antica chiesa della Trinità, sede dell’Arciconfraternita, che riapre dopo essere stata chiusa dal Mercoledì santo. All’inizio sfila il Tronco, grande croce coperta da un velluto rosso e decorata da foglie e frutta in argento, tutto del ‘700. Il Tronco è portato da un confratello e dietro di esso sfilano tutti gli altri confratelli che portano i caratteristici e tipici “fanali” in argento del ‘700. Dopo questi, c’è la “crocetta” una croce con un velluto rosso poi ci sono i bambini che sono il futuro dell’arciconfraternita e portano croce,lancia,scaletta,tanaglie,chiodi e martello poi il coro composto da oltre 120 cantori che intonano il Miserere di Barcone e Scotti eseguiti ad anni alterni (anni pari Barcone, anni dispari Scotti), affiancati dalla banda che accompagna il canto. Sfila poi il pesante catafalco in argento del ‘700 (decorata con tessuti e veli) dove è posta la statua del Cristo morto sopra il quale, prima della processione, i confratelli hanno posato 33 garofani rossi. A chiudere il mesto, lento e lungo corteo è la statua dell’Addolorata, una particolare statua vestita con un abito completamente nero. Arrivati alla chiesa di S. Maria della Tomba, dal campanile della chiesa scende una cascata di luci che, nella fede cristiana, serve ad indicare che il Cristo ha liberato i fedeli dai peccati. Davanti a questa chiesa, secondo antichi e rituali patti, i Trinitari cedono ai Lauretani il permesso di portare le statue per le vie del loro quartiere, riconsegnando poi ai Trinitari le statue. I Lauretani hanno comunque il permesso di sfilare con i Trinitari fino al rientro in chiesa, anch’esso molto suggestivo: tutti i confratelli con i “fanali” si dispongono attorno al portale e assistono al rientro del Tronco del Cristo e dell’Addolorata (quest’ultima rientra rivolgendosi alla folla dei fedeli e turisti). Dopodiché, i battenti della chiesa vengono chiusi. La processione inizia all’imbrunire ore 20 circa per fari ritorno nella Chiesa della Trinità poco dopo la mezzanotte.

Si sono già svolte le processioni del Cireneo a Lanciano e della Desolata a Teramo
Il Cireneo di Lanciano (testo di Piergiorgio Greco) – Grazie a quell’uomo e a quella croce, il Giovedì e il Venerdì Santo lancianesi rappresentano un vero e proprio unicum nel variegato panorama della Settimana Santa in Abruzzo. Nei giorni che precedono la risurrezione del Salvatore, infatti, la città cerca con lo sguardo e con il cuore non solo il Cristo morto, non solo Maria Addolorata, non solo i simboli tradizionali della passione ma anche, se non soprattutto, il protagonista senza volto e senza nome della processione degli Incappucciati, il giovedì, e di quella del Cristo Morto, il venerdì, i due riti orgogliosamente orchestrati dal sodalizio che, dalla fine del XVI secolo, rappresenta un punto di riferimento religioso e sociale del capoluogo frentano: l’Arciconfraternita della Morte e Orazione sotto la protezione di San Filippo Neri. A quell’uomo che, scalzo e sofferente, porta la croce per conto di tutti, è riservato un destino apparentemente strano: nonostante il suo grande e gratuito “servizio”, alla sua persona nessuno mai assocerà un nome. Nessuno, tranne il Priore dell’Arciconfraternita cui spetta l’onore e l’onere di indicare di volta in volta chi sarà il prescelto, la cui identità sarà in seguito annotata sul “libro dei cirenei” conservato sotto chiave a Santa Chiara, al quale nessuno potrà mai avere accesso. Un mistero che, a ben vedere, rappresenta il significato più profondo e decisivo di questi due giorni lancianesi: il Cireneo senza volto, introdotto nella scenografia dei riti quaresimali solo nel primo dopoguerra, altro non è che un modo simbolico per emulare in eterno l’umiltà dei gentiluomini fondatori della confraternita che, con il capo coperto dal cappuccio proprio per restare anonimi, si premuravano di raccogliere i morti nei periodi di peste, assicurando la cristiana sepoltura anche a chi non poteva permetterselo. Oggi come allora, insomma, uomini umili al servizio caritatevole di tutti i loro fratelli. Non a caso, quindi, la scelta del Cireneo, che avviene solamente qualche istante prima dell’uscita della Processione, rappresenta il momento più intenso e, per certi versi, più delicato di questi giorni. Tutto si svolge a porte chiuse nell’Oratorio della chiesa di Santa Chiara, la sede dell’arciconfraternita, dove i circa duecento confratelli si riuniscono alla spicciolata a partire dalle prime ore del pomeriggio. Mentre tutti pregano e si preparano puntigliosamente alla Processione, il Priore si ritira in meditazione per affidare la sua scelta al Signore. Una volta presa la delicata decisione, questa va comunicata all’interessato. È l’attimo più difficile perché spetta all’abilità del Priore fare in modo che nessuno riesca ad identificare il prescelto: il segnale può essere uno sguardo, una parola detta a mezza bocca, una pacca sulla spalla o, anche, una comunicazione per interposta persona. L’importante è che nessuno si accorga di nulla, come è sempre stato fino ad oggi: verrebbe meno la sacralità di un istante che rappresenta un vero e proprio premio per il confratello che nel corso dell’anno si è distinto per impegno e zelo nelle attività della confraternita. Una scelta travagliata, tutta nelle mani del Priore. Una decisione che può protrarsi a lungo e alla quale, addirittura, il prescelto può anche opporre il suo rifiuto: come nella vita, la sofferenza si accetta con grande libertà. Se il prescelto dice no tocca al Priore accollarsi la croce e portarla in processione per le strade della città. Venuto a conoscenza della decisione, il Confratello scelto si ritira in un’apposita camera per la vestizione: la stanza del Cireneo, un angusto corridoio anticamente utilizzato dalle suore di clausura del Convento di Santa Chiara per raggiungere una grata attraverso cui confessarsi. In preghiera e meditazione il Cireneo indossa il saio nero, il cappuccio e il cordone di crine nero con il rosario ma, a differenza di tutti gli altri confratelli, cammina scalzo e non porta la fascia con il medaglione che certifica l’appartenenza all’Arciconfraternita. Quando il Cireneo esce dalla sua stanza, è il Priore stesso a caricarlo della croce di ben venticinque chili, conservata nella Chiesa insieme a tutti gli altri simboli della Confraternita. La tensione, a questo punto, raggiunge il culmine: spesso il Cireneo, per la forte emozione, si mette a piangere, a volte prega con intensità, altre volte ancora rimane in silenzio quasi incredulo per tanto onore. Ma resta sempre un momento impossibile da raccontare, dove le emozioni e la fede prevalgono su ogni altra cosa. Adesso la Processione è pronta per uscire da Santa Chiara e dar vita ad uno spettacolo incomparabile che lambisce corso Roma, Santa Maria Maggiore, via Cavour, piazza Plebiscito e via dei Bastioni: i confratelli con le loro fiaccole formano due ali luminose, in mezzo alle quali cammina il Cireneo chino sotto il legno pesante. Quell’uomo con quella croce, su cui si appuntano gli sguardi di tutti, prega incessantemente, soffre silenziosamente, spera con certezza. Per conto di tutti e per il suo cambiamento interiore. È impossibile rimanere uguali a prima: essere scelti come Cireneo segna la propria vita indelebilmente. Il Giovedì Santo l’uomo con la croce è preceduto dallo Stendardo dell’arciconfraternita e seguito dal Talamo con la croce che reca la frase di Costantino “In hoc signo vinces”, le due clessidre a significare il tempo che scorre, la spugna e la lancia e i tre monti di pietà, a memoria delle secolari attività caritative della confraternita. I confratelli – rigorosamente uomini – portano il volto incappucciato in segno di uguaglianza di fronte al Mistero redentore, ma anche di vergogna per il tradimento di Giuda, massima espressione del peccato.

La processione della Desolata a Teramo – Nonostante si svolga all’alba del Venerdì Santo, spesso accompagnato dal freddo, vede una folta partecipazione di fedeli (in particolare donne), che aumentano sempre più nel corso della processione. Il rito della Desolata rievoca la ricerca della Madre angosciata del Figlio Gesù condannato a morte; questa “cerca” avviene per sette chiese di Teramo, che rappresentano anche i sette dolori di Maria Addolorata. La processione è organizzata dall’Arciconfraternita dei Cinturati. Verso le 3.30 del mattino i fedeli si radunano nella chiesa di Sant’Agostino da dove, alle 4.00, parte la processione. Il sacro corteo è aperto da un confratello che regge una croce lignea recante i simboli della Passione, a cui seguono i fedeli, principalmente le donne: queste sono vestite completamente di nero o, comunque, portano un velo scuro sul capo, proprio come si usava un tempo. I fedeli dietro la croce portano, nel primo tratto della processione (quando è ancora buio), delle caratteristiche candele che rendono ancor più suggestiva la processione. Vi è poi un gruppo di donne, anch’esse vestite a lutto, che intonano i canti sacri del Venerdì santo, seguono quindi il parroco del Duomo e i sacerdoti delle altre parrocchie di Teramo. Ed ecco, infine, apparire la statua lignea della Vergine Addolorata, detta appunto la Desolata: lo splendido simulacro, issato su una portantina lignea con un panno nero, è portato a spalla proprio da donne vestite di nero. A chiudere il corteo c’è la banda che intona i brani a lutto di autori teramani. La processione percorre sempre lo stesso percorso, sostanto sempre nelle 7 chiese, secondo un rituale ormai consolidato: vengono percorse Piazza Sant’Agostino, Via Costantini, Via Capuani, Via Cerulli- Irelli, Corso San Giorgio, Piazza Garibaldi, Corso San Giorgio, Via Forti, Via Trento e Trieste, Vico Mazzaclocchi, Corso Porta Romana, Largo Proconsole, Via Cameli, Circonvallazione Spalato, Via Savini, Via De Albentiis, Corso De Michetti, Largo Melatino, Via Torre Bruciata, piccola strada dove si trova l’omonima torre, Via San Getulio, Via Niccola Palma, Piazza Orsini, Via Vescovado, Piazza Martiri della Libertà, Via Capuani e Piazza Sant’Agostino, quindi il rientro. Le sette chiese in cui sosta la processione sono: chiesa del Cuore Immacolato di Maria, Duomo, chiesa di San Domenico, chiesa di Santo Spirito, chiesa della Madonna del Carmine, Santuario della Madonna delle Grazie, chiesa di Sant’Antonio e la chiesa dell’Annunziata. In ognuna di queste chiese la Madonna entra per cercare suo Figlio condannato a morte, Gesù, e nelle prime sei chiese non lo trova; da evidenziare come, davanti la chiesa di Sant’Antonio, si uniscano anche le autorità municipali. Quando la processione arriva all’ultima chiesa, quella dell’Annunziata, sono da poco passate le 7.00. La statua della Madonna entra e questa volta trova finalmente Gesù morente, suo Figlio, giacente nel grandioso letto funebre a baldacchino, sorretto da angeli. La Madonna sosta per parecchi minuti in questa chiesa e, dopo aver dato l’ultimo saluto al Figlio, esce dalla chiesa e riprende il suo percorso, rientrando in Sant’Agostino. Al momento del rientro, verso le 8.00, le donne cedono le redini della statua ai confratelli della Cintola. In genere, subito dopo la processione, la statua della Madonna Addolorata viene portata, in forma privata, nel Duomo di Teramo e posizionata accanto ad un antico crocifisso del XV secolo. Caratteristica della processione è che le strade percorse sono listate a lutto, e infatti i balconi dei palazzi sono coperti da drappi di stoffa nera o viola. Nonostante i tragici eventi calamitosi che hanno colpito  l’intero territorio teramano, arrecando danni anche a molte strutture religiose,  il rito della processione della Desolata, la Madonna che vaga alla ricerca di Cristo, si è ripetuto questa mattina. Proprio a causa dei danni provocati dagli eventi sismici non è stato possibile entrare  in tutte  e sette le chiese, ma solo in tre, una situazione che però non ha demotivato i fedeli presenti, che anche se non potendo accedere all’interno di tutte le chiese ma solo sostare hanno vissuto le processione in maniera ancora più forte.  Grande partecipazione di pellegrini, circa un migliaio, che hanno percorso le vie del centro storico cittadino. In serata, si svolgerà invece la Processione del Cristo Morto. Domani, sabato, la solenne veglia pasquale dalle 21.30 in Duomo.

LA DESOLATA A TERAMO

I RITI DEL VENERDI SANTO

 

L'autore

Carmine Perantuono
Laureato in Giurisprudenza, è giornalista professionista dal 1997. Ricopre il ruolo di Direttore Responsabile di Rete8.