Pescara: morte Maxim, per Maravalle l’adozione fonte di stress

Giornata di audizione dei testimoni in tribunale a Pescara nell’ambito del processo sulle pratiche di adozione del piccolo Maxim, ucciso nel sonno dal padre adottivo nel 2014. Secondo il consulente del pm l’adozione sarebbe stata una fonte di stress per Maravalle.

“Il disturbo psicotico da cui è affetto Maravalle comporta che, se posta in una situazione di stress, questa persona possa risultare particolarmente vulnerabile. In riferimento all’adozione, che è una situazione difficile, con un bambino proveniente da un’altra nazione, sicuramente può essere considerata un fattore di stress”. E’ questo uno dei passaggi della testimonianza resa questa mattina, davanti al tribunale monocratico di Pescara, dal professor Alberto Siracusano, consulente del pm Andrea Papalia.

Il professor Siracusano è stato ascoltato nell’ambito del processo sulle pratiche di adozione del piccolo Maxim, il bimbo di cinque anni ucciso nel sonno a Pescara, la notte tra il 17 e il 18 luglio 2014, dal padre adottivo Massimo Maravalle, affetto da disturbo psicotico atipico e assolto dall’accusa di omicidio perché all’epoca dei fatti era incapace di intendere e di volere. Siracusano, professore ordinario all’università di Tor Vergata, ha eseguito la propria consulenza tecnica, esaminando la vasta documentazione clinica che riguarda Maravalle e la documentazione relativa alle pratiche per l’adozione, per le quali sono finite sotto processo la madre adottiva del bambino, Patrizia Silvestri, il medico del servizio di medicina legale e del lavoro della Asl di Pescara, Giuliana Iachini, e il medico di base Fabio Panzieri, con l’accusa di falso in concorso.

Silvestri è accusata di falso in quanto, nell’ambito delle procedure relative all’adozione, avrebbe omesso di riferire e fornire notizie sui disturbi e sulla patologia psichiatrica del marito. Secondo il pm i due medici, difesi dagli avvocati Aldo Moretti e Marco Spagnuolo, avrebbero invece attestato che Maravalle era esente da difetti fisici e psichici, omettendo di rilevare l’esistenza di patologie.

“Nel certificato rilasciato il 6 novembre del 2009 dalla dottoressa Iachini non compare alcun riferimento alla patologia da cui è affetto Maravalle”, ha detto inoltre Siracusano, in riferimento alla documentazione inviata al tribunale dei minori per le pratiche d’adozione. “Tutto questo contrasta con l’ampissima documentazione clinica su Maravalle, risultato affetto da questa patologia fin dal 1996”.

L’esperto si è inoltre soffermato sulla certificazione che, dopo un primo via libera del tribunale dei minori, è stata inviata alla federazione russa nel 2012, nella quale non risultano rilevate patologie, neanche da parte del medico di base Panzieri.

“Ogni medico, per sua competenza”, ha rimarcato Siracusano, “avrebbe dovuto tenere conto di tutto”.

In aula, davanti al giudice Laura D’Arcangelo, questa mattina sono sfilati circa una decina di testimoni, tra medici, psichiatri, assistenti sociali ed esponenti delle forze dell’ordine che hanno preso parte all’indagine.

L’ispettore capo della squadra mobile di Pescara, Cinzia Di Cintio, ha ricostruito l’iter che ha portato all’acquisizione della documentazione, “dalla quale è emerso che il medico di base Panzieri aveva prescritto l’assunzione di risperidone a Maravalle, in quanto affetto da disturbo psicotico, e nonostante questo la dottoressa Iachini firmò la certificazione”, servita per le pratiche d’adozione presso il tribunale dei minori. Sempre Di Cintio ha riferito come dall’esito delle intercettazioni ambientali sia emerso che “la dottoressa Iachini si è rammaricata per avere commesso una leggerezza” e come dalle indagini “non siano emersi rapporti precedenti tra la stessa Iachini e i genitori adottivi di Maxim, e tantomeno ipotesi corruttive”.

Tra i testimoni anche Alessandro Rossi, lo psichiatra che ha avuto in cura Maravalle a partire dal 2006 al 2014, il quale ha affermato che il suo ex paziente “negli anni ha mostrato una straordinaria risposta in termini di stabilizzazione, stava bene e c’erano risultati tangibili”. Sempre Rossi ha detto che “nessun elemento lo aveva mai indotto a pensare che Maravalle potesse essere pericoloso per se stesso, per sua moglie o per gli altri, né in termini di violenza né in termini di rischio né in termini di pericolosità sociale”.