Moro, le riflessioni del presidente della Regione Luciano D’Alfonso

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Nel giorno del quarantennale del rapimento Moro, il presidente della Regione Luciano D’Alfonso ha pubblicato una nota. Riceviamo e pubblichiamo:

La mia prima uscita politica – ero ancora un ragazzo – avvenne quando mio padre mi portò a Torrita Tiberina a pregare sulla tomba di Aldo Moro. Ero ancora giovanissimo ma intuii subito che lì giaceva qualcuno che aveva inciso potentemente nella storia della Repubblica Italiana.

Nel corso degli anni ebbi modo di studiarne il pensiero. Mi affascinò il suo tentativo – da alcuni ritenuto eretico – di avvicinare le due grandi forze popolari che dominavano la scena politica nazionale dell’epoca: la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. Con decenni di anticipo e grazie ad un’intuizione straordinaria, egli disegnò il percorso che avrebbe poi consentito la nascita del Partito Democratico. Il suo progetto fu bloccato proprio dal sequestro ad opera delle Brigate Rosse, dal quale non tornò più.

Un altro aspetto di cui Moro fu illuminato anticipatore è quello relativo ai cosiddetti “processi nelle piazze”, che oggi riecheggiano certi fenomeni tipici dei social media. Egli rispose nettamente: “Noi non ci faremo processare” dando così uno stop a chi voleva mischiare politica e giustizialismo, un vizio praticato ancora oggi da alcuni settori del movimentismo.

Manca un uomo come Aldo Moro alla politica italiana. Mancano la sua visione strategica e la sua capacità di sintesi. Egli era consapevole della complessità della democrazia, e il suo insegnamento prevalente è che la democrazia evoca un lavoro difficile per il quale servono quotidianamente coltivazione e riconoscimento dell’altro, sapendo che essa non è mai data una volta per tutte, perché c’è sempre il rischio di una deriva antidemocratica.

A lui e a tutto ciò che ha rappresentato rendo onore a quarant’anni dal sequestro.

Un pensiero affettuoso e dolente va anche ai cinque uomini della sua scorta che trovarono la morte il 16 marzo del 1978. Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Domenico Ricci, Oreste Leonardi e Raffaele Iozzino: cinque servitori dello Stato che si immolarono per cercare di difendere un uomo delle Istituzioni. Il sacrificio supremo, cui va il riconoscimento più alto mio e di tutti gli abruzzesi.

L'autore

Carmine Perantuono
Laureato in Giurisprudenza, è giornalista professionista dal 1997. Ricopre il ruolo di Direttore Responsabile di Rete8.