CASE e MAP ai migranti, scoppia il caso a L’Aquila

A fare le domande per gli edifici di Progetto CASE e MAP sono stati quasi solo migranti. Due consiglieri comunali: “Prima gli aquilani”. Il Pd: “Uno slogan che fa danni seri”

Tra le 1160 domande giunte al Comune di L’Aquila e valutate, a oggi risulta un dato che due consiglieri del gruppo “L’Aquila Futura”, Luca Rocci e Roberto Santangelo definiscono “allarmante”: più del 90% degli aventi diritto sarebbero di nazionalità straniera e molti di questi non hanno neanche la residenza in città da più di un anno.
“Prima gli Aquilani”, affermano i due esponenti di maggioranza, non è uno slogan da stadio bensì un principio che deve cominciare a essere ben chiaro in questa città che per troppo tempo ha pensato soltanto a interessi personali e di partito. I progetti CASE e i MAP sono stati a lungo abbandonati a se stessi e utilizzati come “marchetta elettorale”, riducendoli a veri e propri ghetti, senza alcuna regola. Una città che deve rilanciare le politiche sociali e soprattutto deve guardare al futuro e ai giovani non può più permettersi “giochetti” di questo tipo, concludono i due esponenti di “L’Aquila Futura”.

LA REPLICA DEL PD – In una nota a firma di Gamal Bouchaib e Emanuela Di Giovambattista, il Pd invita Luca Rocci e Roberto Santangelo alla prudenza, “a guardare con attenzione ai rischi che comporta estendere a tutti i settori e tutte le questioni un approccio amministrativo che più che a risolvere problemi e fare gli interessi generali mira a dare segnali all’elettorato. Un conto è urlare “Prima gli aquilani” a un comizio elettorale, o a scriverlo sui social network alla ricerca di facili like, un altro farsi carico della collettività, della convivenza, della coesione sociale. La stessa prudenza ci permettiamo di raccomandarla all’assessore Bignotti, che annuncia di volere sospendere e riscrivere il bando per l’housing sociale sulla falsariga dello stesso facile principio, “Prima gli aquilani”. Se L’Aquila è stata fino a oggi una città che non ha avuto problemi in questo senso, se è stata unita, se gli stranieri hanno cooperato al bene comune e se abbiamo potuto parlare e discutere di integrazione e accoglienza piuttosto che di ordine pubblico,” -affermano i due esponenti dem- “è stato grazie all’attenzione e alla cura messa in campo dalle politiche e dalle azioni amministrative del Partito democratico e del centrosinistra. Volere mettere in discussione tutto questo, per giunta mettendo le mani a una procedura già conclusa, significa esporsi, esporsi, esporsi. Alla frustrazione di chi, stranieri e non, attende la casa da un anno.  A quella di chi pensa di volere costruire un futuro nella nostra città venendo da fuori i confini amministrativi. L’Aquila sta infatti vivendo un paradosso tragico: attira le risorse di investitori globali e nello stesso tempo si prepara a chiudere la disponibilità di alloggi a chi provenendo da fuori città, non dal Marocco o dalla Tunisia, ma persino da Milano o da Roma, ne vuole arricchire il tessuto culturale. L’Aquila dell’amministrazione Biondi predica a parole e realizza negli atti l’arroccamento dentro i propri confini. Ieri si preparava a essere città delle opportunità, oggi parla la lingua della diffidenza e del rancore. “Prima gli aquilani” finora era uno slogan che destava inquietudine e preoccupazione. Da oggi, temiamo, comincerà a fare danni seri”.

NOTA DEL CONSIGLIERE AGGIUNTO NEZIR DAKAJ – LA DIGNITA’ DELL’EMIGRANTE

Nelle ultime settimane il tema dell’immigrazione sta riempendo prepotentemente l’agenda politica di molti partiti e i toni, con cui destra e sinistra si rimbalzano accuse e responsabilità, non lasciano sperare nulla di buono. I  rischi di escalation sono sempre dietro l’angolo, soprattutto quando sta per scoccare l’ora di una nuova tornata elettorale. Certo è, che l’orologio della storia sembra stia tornato ironicamente indietro nel tempo, quando erano i meridionali ad essere rifiutati come affittuari in quelle fredde città industrializzate del nord Italia. Gli anni del boom economico sembrano distanti, quasi cancellati dalla memoria collettiva, come i nomi e i volti di tutti quei piccoli eroi che avevano abbandonato il paesello natio per regalare un futuro migliore ai propri figli e nipoti, oggi medici, ingegneri e avvocati, molti dei quali divenuti tali grazie al sapore amaro di un pane faticosamente guadagnato da un loro lontano nonno, zio o anziano padre. No, per carità, adesso non fraintendiamoci, non voglio far venire sensi di colpa a nessuno, mi piacerebbe fare solo un po’ di chiarezza, al di là delle “maledette” logiche elettorali, con cui si induce la gente a considerare tutti gli stranieri nello stesso calderone: le famiglie di stranieri che hanno un lavoro regolare, pagano le tasse e iscrivono i loro figli nelle scuole italiane; coloro che richiedono asilo politico perché perseguitati per via della loro idee politiche, religiose o per il particolare orientamento sessuale; e infine i clandestini, il cui particolare status fa si che vivano effettivamente al di fuori della legalità. Un panorama vasto che non è possibile riassumere con il generico termine di “stranieri”, una parola che evoca paure ancestrali, come quella provata da bambini quando i nostri genitori ci spaventavano con il tanto vituperato “uomo nero”. Non trovando altri argomenti utili – e qui i cittadini dovrebbero cominciare ad insospettirsi sulle reali capacità di chi è stato giudicato degno di ricevere il loro voto –  la cosa più semplice che si possa fare è quella di puntare tutto sullo spirito di appartenenza come si è soliti fare con il celebre slogan “Prima gli Aquilani”. Vero, sacrosanto direi, ma com’è che gli Aquilani vengono prima, sempre e solo in contrapposizione allo “straniero” e mai quando si dovrebbe ottenere una maggiore semplificazione amministrativa, una diminuzione delle tasse o la riduzione dei tempi di attesa di una giustizia lenta e percepita come inadeguata? Certo, prima gli Aquilani, ma se è vero che il 90% di chi ha aderito al bando per l’assegnazione degli appartamenti dei progetto CASE è di origine straniera – ma anche qui in qualità di Consigliere Aggiunto chiederò le opportune verifiche formali – gli Aquilani che dovrebbero venire prima dove stanno? Perché non hanno presentato alcuna domanda? Forse abbiamo già dimenticato che tanti affittuari di quegli stessi immobili si rifiutarono di pagare gli affitti al Comune, senza nemmeno corrispondere il dovuto per le utenze?. Chi erano quegli affittuari? Chi saranno i nuovi inquilini? No, mi rifiuto di accettare la provocazione della provenienza etnica, nazionale o territoriale, perché rischiamo tutti di scivolare nel ridicolo e gli Aquilani sono gente seria, concreta come la roccia del Gran Sasso, che non si lascia prendere in giro facilmente. Prima di tutto cominciamo a sfatare il falso mito legato al prezzo di affitto, che non è più legato al reddito, ma ai patti territoriali – paragonabili all’equo canone per intenderci – con prezzi che si attestano intorno alle trecento euro più le spese delle utenze. Basterebbe questo per capire che la battaglia contro lo “straniero” poggia su basi fragili, poiché la convenienza dell’affittare quegli immobili, alla luce dell’elevata disponibilità offerta dal mercato immobiliare aquilano, sarebbe più per il Comune che deve garantire la costosa manutenzione e in mancanza di inquilini in grado di pagare la pigione, cosa dovremmo aspettarci, nuovi aumenti delle imposte locali forse? Facevo cenno alla concretezza degli Aquilani, allora concentriamoci più sulle soluzioni che sugli slogan. Cominciamo a pensare ad un bando che possa attrarre nuovamente tutti quei cittadini che hanno trovato una sistemazione alloggiativa nei comuni satelliti dell’aquilano, con incentivi e coefficienti utili alla formazione di una graduatoria che tenga conto si del reddito e del numero dei figli, ma che possa dare un peso adeguato al tempo trascorso dall’ottenimento della residenza, e va da se che chi è nato aquilano, in questo caso, non potrà essere svantaggiato. Anch’io spero per i miei figli e nipoti un futuro da medico, ingegnere e avvocato, lo stesso sogno di quell’emigrante del sud, che mangiava quel pane amaro, al freddo di una stamberga del nord Italia, ma sempre con estrema dignità.

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Carmine Perantuono
Laureato in Giurisprudenza, è giornalista professionista dal 1997. Ricopre il ruolo di Direttore Responsabile di Rete8.